Biografia Norberto Proietti

 

Si direbbe che qui si materializza un sogno: la sospensione del tempo. E con lei due entità: il silenzio e una vaghezza di pensieri che è un tonico per l’anima. Norberto, in questo soffice universo domestico, se ne sta modesto e tranquillo. Gli sono estranee eccentriche bizzarrie d’artista e impennate. Egli è rimasto terra, vale a dire una coltre soda in superficie e, nel profondo, linfa e umori. La fama, il successo, l’agiatezza non l’hanno cambiato, perciò si connota più per ascolti che per loquacità, più per pudori che per confessioni, più per frugalità che per sciali. Spello gli sta davanti ad ogni ora del giorno. Norberto non lo guarda. Fa qualcosa di più: lo contempla. Sa che fra le sue mura ferrigne ha consumato buona parte della sua vicenda umana con un carico di sacrifici, timori e speranze. Lungo l’erta, che a stento si slarga in una piazzetta, è stato monello e infioratore, ragazzo di bottega e giovane innamorato. Ora, a quelle pietre che hanno il profumo del tempo, egli porta lustro e notorietà. Al suo paese dell’anima, dà l’anima come un amante invaghito del suo amore. L’atelier di Norberto è a due piani. Il locale più ampio è al pianterreno. È un po’ la galleria personale e intima del pittore. Alle pareti sono allineati i quadri che più ama: i maturi campi di grano, che sono un inno alla vita, la mansuetudine del leone che si trasforma in agnello, la levità spirituale dei fratini, le colline dell’Umbria, la regione d’Italia, come diceva Salvatorelli, più vicina a Dio. Poi c’è Francesco, un santo così rozzamente sbozzato che sembra l’essenza dell’incrollabilità della fede, la povertà che si fa tattile, la forza di un destino che non ha più avuto eguali. In questo ambiente ho visto i dipinti che Norberto sta per presentare a Perugia. Come sempre ne ho tratto una immagine rasserenante. Ogni volta che vedo questa pittura scende in me una quiete verginale. Si direbbe che questo artista ignori il fastidio della quotidianità, il peso delle ore e dei nostri giorni, l’angoscia di un presente che spesso annerisce cuore e pensieri. I suoi cieli sono sempre azzurri, mai piovani. Anche quando la natura si spoglia dei fulgori dei meriggi, non scade mai in nembi o tempeste. La neve di Norberto è magica e sognante. La sua coltre è una distesa trapuntata di stupori e abbandoni. Il vento non devasta o squassa, fa tutt’al più baldoria con le vesti e i tetti. Quando denuda gli alberi libra in cielo foglie che sembrano petali d”oro. Se si fa borea è invece lucido e serpigno, ma sta sempre nella tavolozza dell’artista che è pulita e ignora gli scuri. La materialità di Norberto si ritrova solo nell’architettura delle sue composizioni. Le arcate, i palazzi medioevali precipiti, le torri, le feritoie, le finestre, che sembrano sottili come lame, danno al quadro una statica monumentalità. È un’epoca che è serrata in un dipinto; è la riduzione quasi iconografica di un mondo di splendori e di ombre fosche. L’artista domina, come pochi, la massa e i volumi, consapevole delle lezioni che ci hanno lasciato i grandi maestri che hanno percorso da Giotto in poi i paesi dell’Umbria. Per il resto, la pittura di Norberto si disincarna: si levano i corpi, i frati prendono a calci la luna, il lupo bela. Rivive un Eden senza peccati e senza lusinghe, un orto fatato dove le fontane zampillano dolcezza e i fiumi convogliano elisir. Forse fu così il primo mattino del mondo; o meglio, si può conservare così l’animo di un poeta. Ma Norberto non dispensa santini e consolazione. Egli esce da un mondo duro e difficile, come fu il mondo contadino, un mondo di lesina e di stenti, ostico e diffidente. Noi siamo portati spesso, per corta memoria o per fuga dalla realtà, a mitizzare cose e sentimenti del passato. Nel perimetro dei nostri paesi si consumarono, però, vite di sacrifici e di disperazione, con una società stratificata che consentiva pochi varchi e poche liberazioni. Quell’universo esistenziale Norberto lo ha attraversato in prima persona. In questa mostra, lo riproduce con una intensità notevolissima, perché esso è sostanza stessa del suo essere. La luce illumina l’osteria e la bottega del sarto, il salone, che fu palcoscenico di ogni storia e di ogni accadimento, e il cittadino. A molti di questi umili protagonisti della cosiddetta storia sono stati eretti dei monumenti. Penso che non si tratti solo di uno scatto fantastico dell’artista. Penso anche ad un devoto, inconscio omaggio a chi non è riuscito a sfuggire all’oblio e all’anonimato. Norberto si è preparato bene per questa mostra. È in pratica la sua consacrazione in patria. Per chi è partito da molto lontano, Itaca si carica di ogni più intenso e riposto significato. Chiudendo il suo Giornale di Bordo, Corrado Alvaro scriveva questa scheggia esistenziale: “Più che la vita, mi interessa la favola della vita”. Io auguro a Norberto di continuare a raccontarla, ancora per tanti anni, la sua delicata fiaba della vita.

GIANNI RAVIELE



Prima che un pittore, Norberto è per me un amico. Mi spiego meglio. Una persona verso la quale potrei nutrire amicizia se non ci dividessero troppe cose, prima fra tutte il fatto che io sono, più nolente che volente, un intellettuale e lui no, e poi il fatto che lui vive in un piccolo paese e io in una grande città, il che porta a due diverse mentalità e visioni del mondo. Non so nemmeno se lui ce la farebbe a essere mio amico. Per me l’amicizia è qualcosa di individuale: considero il tale o il tal altro un mio amico, separatamente. Per lui è una rete di persone e una serie di luoghi in cui adagiarsi a vivere. Ma Norberto è, come me, uno che si è fatto da sé. E questo conta, segretamente conta, in un rapporto. Non lo dico per mettere le mani avanti, nel senso che se mi scapperà qualche elogio, è per amicizia che lo faccio. Al contrario, semmai, sarà proprio questo sentimento, per via della naturale ritrosia che mi porto dietro dalla nascita, dal luogo di nascita che e la pianura padana dove tutti sono ritrosi per eredita storica, direi, a frenarmi. Quando ci siamo conosciuti Norberto e io? Nessuno di noi due lo ricorda. Mi sembra che dalla prima volta che misi piede a Spello Norberto era la, appoggiato a un muro come in una delle sue foto più pubblicate. Ovviamente io ero “qualcuno” per lui, lui nessuno per me. Ma basto dare un’occhiata ai suoi quadri per capire che ero io in difetto a non conoscerlo. Lo scatto di notorietà dalla provincia o dalla regione all’intero paese, in Italia e difficile. Lo e per tutti gli artisti. Per un pittore si tratta di esportare non soltanto la propria vena poetica, la propria bravura, ma delle cose concrete come paesaggi, figure tipiche, la materia di determinati muri, le caratteristiche delle case, delle strade, delle piazze, le antiche mura e i torrioni, insomma un certo folclore visivo, retaggio difficilmente evitabile. Per 1’umbro Norberto, pietre bianche o rosa, villaggi arroccati sul cocuzzolo di una collina, conventi, eremi, chiese sono un materiale figurativo che, sebbene derivato da quel denominatore comune a tutti gli italiani che e il medioevo, può essere accolto o respinto per varie ragioni che nulla hanno a che vedere con il giudizio critico. Per fare un esempio, non amo i contenuti surreali in pittura, pur ammirandoli quando e il caso. Mi attrae invece moltissimo 1’astrattismo, anche se in quel mondo a volte riesco ad entrare con fatica. Mi si obietterà che la poesia non conosce confini e il fatto stesso che ci sia in un’opera e un attributo di universalità. Tuttavia mi sembra che l’immagine abbia una forza cosi diretta, che entri in un modo cosi perentorio quasi a nostra insaputa nell’occhio, da incollarsi al cervello prima ancora che questo abbia incominciato ad analizzarla. Ed e in questa frazione di secondo che — automaticamente — avviene la scelta, ossia che proviamo piacere oppure no. Ho detto più sopra che Norberto non e un intellettuale. Credo di fargli un complimento affermando questo. Norberto e un pittore d’istinto, la sua biografia ci informa che scopri la sua vena finendo un quadro gia iniziato. Dirò di più, Norberto e uno specialista del candore, della serenità del vivere. Dipinge agglomerati di case fermi nel tempo che ricordano certe illustrazione di incunaboli cinquecenteschi, campi coltivati con grande cura, con amore si direbbe, scene di vita paesana, scioperi ordinati e frati, tanti fratini che lavorano o giocano con la tonaca bianca al vento. Straripa insomma dalla sua pittura un sapore di esistenza pacata, per non dire soddisfatta. Uno dei suoi ultimi dipinti e un’ode alla pace.

Norberto stesso ha tutta l’aria di un uomo soddisfatto. Non che la sua vita sia immune da problemi, ma ho idea che li superi con una certa scioltezza. Lo si vede spesso fare lunghe passeggiate nei boschi a raccogliere erbe o funghi che poi cucina da se. Durante queste passeggiate so che ama soffermarsi a guardare le luci e ascoltare i rumori del bosco, assaporare a fondo quei momenti di solitudine, contrappunto necessario alla sua vita familiare e sociale. Ecco una delle qualità che più apprezzo in lui: saper ascoltare, non soltanto la natura ma anche chi gli parla. Ascoltare gli piace, come gli piace la chiacchiera distensiva. Quasi tutte le sere incontra amici con i quali si intrattiene per il gusto della socialità: ridere, giocare a carte, a biliardo, discutere di sport. Perugia e a due passi da Spello e quando la squadra di calcio del Perugia era in serie A, tutti allo stadio. Insomma quel tipo di vita paesana, o al più provinciale, in cui noi cittadini incalliti tentiamo ripetutamente di affondare a da cui inevitabilmente dopo ogni weekend fuggiamo. Norberto non deve fuggire da nulla. Sta bene dov’è. Qualche viaggio per seguire le sue mostre o per curiosità, sempre in compagnia di amici; ma io credo che i suoi viaggi ad altro non tendano che al ritorno. Che tipo di pittura può essere quella di un uomo cosi soddisfatto? Naif, si e soliti dire. E qui si apre un discorso che porterebbe lontano, se chi scrivesse fosse un critico d’arte. Non lo sono e pertanto le mie considerazioni vanno prese con il beneficio d’inventario. Una osservazione di carattere generale, prima di tutto: dato (e non concesso) che la pittura naif sia una sottospecie di pittura, possiamo allora assumerla come la forma più libera e più autentica dell’espressione pittorica, la meno soggetta a condizionamenti educativi o cultural. Difatti, da dove vengono questi pittori naif? Sono quasi tutti di estrazione popolare, Norberto compreso, dunque la loro e una pittura popolare, sia come ispirazione sia come forza e raggio di comunicazione. Ma il caso di Norberto e diverse I suoi primi dipinti non appartengono a questo genere, sono quadri, semmai, più vicini all’impressionismo e sono, almeno quelli che io ho visto, di ottima fattura. In un certo senso, Norberto ha percorso il cammino inverso: dal figurativo ortodosso e arrivato alla sua pienezza espressiva, semplificando ispirazione e segno, fino ad assumere quelli che si e soliti definire naif. A Norberto pero (per confessione sua) tale qualifica comincia a stare stretta, e in effetti nella sua produzione recente si possono cogliere dei tentativi di uniformarsi a temi che si inseriscono nel corso generale della evoluzione artistica contemporanea. Si guardi il dipinto citato prima, che e un omaggio alla pace: non soltanto l’aspetto tematico colpisce, ma anche certi dettagli. Vi sono alla base del quadro quattro animali, un leone, una tigre, un lupo e un agnello. Sono dipinti in uno stile minuzioso, come lo e (la citazione e paradossale ma ha un senso) l’iperrealismo. Ne si può dire che ciò sia dovuto a calcolo, a interessi extra artistici. Norberto e un pittore d’istinto, ho detto a un certo punto di questa nota, intendendo che il dipingere per lui e frutto di un processo psichico inconscio, quel processo che invece in tanti altri pittori e speculazione intellettiva. E un pittore che dipinge e compone i suoi quadri istintivamente, tant’e vero che non fa prove ne disegni. Mette i colori direttamente sulla tavola, pronto a cogliere il caso o l’illuminazione improvvisa, ed e questo che da alla sua pittura una sincerità assoluta. Norberto e un uomo toccato dall’aspetto della terra dove e nato. La sua poetica di pittore non e altro che la ricerca di un accordo tra l’uomo, le orme dell’uomo fattosi storia e il mondo della natura.

MICHELANGELO ANTONIONI



Di fronte ai lavori degli ultimi anni di Norberto Proietti, viene spontaneo, quasi meccanico, scavare nella nostra memoria per ricavare una scheda tipo, per poter catalogare il suo lavoro, la sua politica. A volte viene il sospetto che sia mancanza di rispetto da parte di chi scrive di cose d’arte, regalare ad ogni costo paternità a chi fa il suo mestiere di pittore. Perchè un artista deve per forza avere una paternità? Norberto Proietti, a mio avviso, più che un padre ha una madre, ed e la sua terra, non quella che si coltiva, ma quella fatta di segni, di atmosfere, di colori e memorie. Certo, Proietti e stato, tra gli anni ’60 e 70, un pittore che guardava al mondo intorno a se con sguardo incantato, stupito, ingenuo; descriveva il suo mondo come fosse la proiezione immaginaria del suo intimo. Ma Naif non era, egli descriveva ma non raccontava. La cultura del pittore naif possiede un vocabolario limitato, per cui solo la narrazione conta, e non c’e spazio per la comunicazione, almeno non nel senso che noi attribuiamo a questo termine oggi. La cultura di Proietti, invece, ha l’aria di venire da lontano, più vicino al manoscritto dell’amanuense medievale, che alia commedia dell’arte. Non sono gli accadimenti nella natura o dell’uomo che gli interessano ma la trascrizione — la trasfigurazione, oserei dire — della realtà, cosi come può percepirla un uomo adulto e reso disincantato dalla cultura, che ha ben presente la realtà esistenziale dei suoi interlocutori. Cosa che il pittore naif non può, per natura e per linguaggio, neppure concepire. Il naif proietta il quotidiano sulla tela, senza reinventarlo, perché solo quello che vede e per lui la realtà; la tematica e assai semplificata, di solito bucolica, formalmente decorativa. Di casa nel quadro naif e il fiume, il campo, le stagioni, la retorica campestre; la grammatica pittorica lascia a desiderare: povera e la scelta dei colori e domina solo la piacevolezza. In questo senso Norberto non e naif, ne lo e mai stato.

Sino ad oggi i contributi critici dedicati al lavoro di Norberto Proietti sono venuti da letterati. E stato un bene? Certo. Il letterato rispetto al critico militante non ha metodologie scientifiche, non opera su concetti aprioristici. Egli e assai simile a colui che scandaglia il fondo del mare e porta a galla, come in un gioco di prestigio, preziosità rimaste sinora sconosciute ai più: col suo retroterra culturale senza binari ne dogmi, il letterato veleggia nel regno dove simboli e segni si aprono ad altri orizzonti. Chi sino ad oggi mi ha preceduto nella lettura di questi lavori di Proietti si e trovato di fronte a una poeticità inusuale. Ben sappiamo che questi non sono tempi da lirismi. Il mondo che ruota intorno al microcosmo sognante di Norberto e pieno di nubi e di incertezze. I segnali sono tutt’altro che francescani. Ma egli fa finta di nulla e racconta “altro”, mentre altri artisti contemporanei (la maggioranza) denunciano la “fin de partie”, descrivono il macrocosmo con lucidità, a volte senza speranza; alcuni, come e d’uso ormai da mezzo secolo, porgono la loro denuncia con la figurazione, altri, invece, con la grammatica dell’informale. Al di fuori di questi due mezzi espressivi c’e solo un radicalismo ludico, senza cultura. Qual’è l’atteggiamento attivo di Norberto Proietti in mezzo a questo frastuono di correnti pittoriche, di finti problemi, di mode provvisoriamente vincenti? Con che cosa e in che modo rispondere? Con la poesia. Un’ingenuità la sua, una provocazione? Più che altro una sfida. Accennavamo prima ai felici risultati di lettura da parte di chi esamina un’opera pittorica senza preconcetti e senza schemi delimitanti, insomma in piena liberta.

Le improvvisate possono essere tante. In uno scandaglio condotto in tutta semplicità all’interno delle tele di Norberto si scopre, prima di tutto, un oggetto astratto misterioso andato perduto, messo all’indice dalla figurazione contemporanea, cancellato da tempo dalle nostre coscienze: e una figurativita, non naturalistica, posta in chiave poetica. Norberto Proietti e pittore autodidatta, che non ha padri o maestri di scuola: l’unico strumento ch’egli usa per misurarsi col mondo che lo circonda e la propria coscienza d’artista, il proprio occhio onirico che raccoglie e seleziona immagini esterne, trasferendole con musicalità pittorica sulla tela. I grigi mentori contemporanei dell’impegno e del disimpegno in arte, schierati in due campi opposti, gli uni che sussurrano la sopravvivenza dell’arte, ma a certe condizioni, gli altri che ne decretano l’inevitabile fine, mal sopportano la permanenza di un terzo incomodo, che ne guerre ne tecnologie avanzate sono riuscite a sopprimere: il senso della vita. Ed e questa la perla preziosa che siamo andati a scovare in fondo al mare, abbandonandoci a una libera lettura delle tele di Norberto. Nelle sue composizioni c’e infatti una passione vitale, con un preciso messaggio di gioia e felicita. C’e soprattutto la capacita di cantare che si concretizza con quella felice comunicazione immediata che e la pittura. Il quotidiano che ci descrive Proietti non e cronaca ma rituale, diventando quindi la forza della coscienza di vivere. Ci pare perciò inutile regalare a questo artista paternità, creargli attorno false impalcature, o riferimenti culturali. Sarebbe fargli torto, mettergli accanto ad ogni costo un maestro come utile pezza d’appoggio, solo per accontentare gli eterni insoddisfatti che non riescono a percepire, a guardare con la dovuta attenzione i suoi lavori. Essere orfani, in pittura, non e poi una cosi grande tragedia. Lo sono stati in Italia, e lo sono tuttora, pittori come Cesare Breveglieri, Fiorenzo Tomea, Nino Caffe. La critica, quella ufficiale, manichea, che seleziona i buoni dai cattivi, sino ad oggi non e riuscita a dare loro una collocazione storica. E più che sufficiente, comunque, guardare, studiare i loro temi, ammirare il modo con cui sono stati svolti. Ciò che solitamente fa il pubblico di Norberto, senza forzature. Quali sono allora le radici, i punti di riferimento di questo artista? Norberto Proietti ha come madre la terra umbra, tenera, silenziosa, carica di storia. Un solo grande affresco a disposizione. Norberto accoglie questa madre terra nel proprio cuore, nella propria mente poetica, e con grande umiltà la trasfigura. Questo volevamo dire all’inizio quando scrivevamo che Norberto viene da lontano. Egli porta dentro di se la memoria storica di un’Umbria ferma, cristallizzata nell’utopia medievale francescana, dove gli uccelli parlano, gli angeli hanno le ali e i frati sono santi che quando non pregano — santamente — giocano. Questo autodidatta ha la pittura nel sangue e giustamente la coniuga con la fantasia. La terra che egli ci descrive certo non e quella visitata dai turisti. Sono angoli, viuzze, mondi segreti. I suoi fraticelli sono a guardia di un paradiso innevato dove può entrare solo il Poeta e nessun altro. Norberto li spia con ironia questi fraticelli, che giocano al pallone o al bigliardo, e le casette arroccate sopra pendii dove il tempo si e fermato. Per chi non lo sapesse lui, laico, vive in isolamento nella sua Spello, circondato da colli e scenografie di conventi quanto mai attivi. Dietro questo suo operare c’e un serio esercizio di lavoro. Le sue piacevoli fiabe, in sospeso tra sogno e realtà, non potrebbero esistere nel loro rigore compositivo, se egli non si dedicasse e applicasse alia tavolozza con sapiente costanza. Dipingere per lui e certamente libero sfogo della fantasia, ma anche e soprattutto disciplina. Non c’e tela che non sia studio preciso di luci e di tenere ombre. Esaminando il gioco compositivo emerge un variare calcolato di passaggi cromatici, dove nulla e lasciato al caso e tutto e giustificato. C’e da chiedersi, a volte, se certe ombre lasceranno il posto alia luce, oppure se non si tratta della malinconia di un affresco dimenticato in qualche cappella sperduta dell’Umbria.

Luci e ombre ben si coniugano con la composizione architettonica del paesaggio urbano medievale. Il livello geometrico e ottico raggiunge una sintesi espressiva di volumi, dove convivono, oltre al rigore delle strutture compositive, le minuzie dei particolari poetici. Norberto da questa sua Spello, da questo suo eremo aristocraticamente isolato, manda segni e messaggi che a una prima indagine paiono intimistici, ma che, invece, sanno esprimersi col linguaggio universale del sorriso, laico messaggio di ottimismo, nonostante tutto. Pittore di cicli, Norberto non si e mai rinchiuso nel ludico poetico, nel ludico religiose In questi anni di candido e coraggioso operare ha ricevuto consensi per temi amari, come quelli dedicati alia “bella miseria”, composizioni straordinarie, dove la prima attrice e una silenziosa “pietas” cristiana. E cosa dire delle “Raccoglitrici di olive”? A volte si desidererebbe vedere queste tele trasformate in affreschi ruvidi. Si tratta di racconti muti, scene dignitose, come dignitoso e il lavoro contadino. Norberto ha questa straordinaria capacita di impegno, dove si sposano appieno forza pittorica e contenuti sacri e profani.

PAOLO LEVI



Non e certo per dovere didattico che si ripercorre la vicenda umana di un artista, anche perché la sua opera vive di una autonomia propria, alimentata unicamente da quegli elementi estetici che in essa emergono. Le sensazioni e le emozioni che l’opera stessa fa nascere in noi, ci legano al suo autore con una sorta di riconoscenza e di affetto che inducono a conoscerlo meglio, a indagare tra le alterne vicende della sua vita, per coglierne i momenti e gli aspetti che più decisamente aiutano a scoprire nell’uomo il personaggio e l’artista. Alla luce di queste considerazioni e confortati da tante confidenze, ricordi, sfoghi e anche pettegolezzi, di cui ci ha gratificati in tanti anni di amicizia, seguiamo lo svolgersi degli eventi che hanno caratterizzato, fino ad oggi, la vita di Norberto, cercando di sottolineare i legami con la sua avventura pittorica. Non e importante, per esempio, sapere che egli e nato il 18 settembre 1927 a Spello. Poteva essere nato in un qualsiasi momento di una qualsiasi epoca, perché gli stati d’animo che lo interessano sono comuni agli uomini di tutti i tempi. Di maggiore interesse e sapere qualcosa dei suoi genitori. Il padre mediava la compravendita del bestiame e commerciava il grano e 1’olivo dei contadini. Aveva, pero, anche una trattoria, dove, commercio permettendo, sentiva il bisogno di fare il cuoco per soddisfare sue sopite esigenze creative ed artigianali. La madre, che curava la casa, i cinque figli e la trattoria, trovava anche lei il tempo di farsi apprezzare, per l’armonia dei modelli e la bravura di esecuzione, cucendo gli abiti da Prima Comunione dei bambini di Spello. Questo clima familiare di attenzioni rivolte, per quanto possibile, alle necessita interiori, Norberto se lo porta dietro frequentando la scuola inferiore. Di quel periodo, infatti, ha ricordi singolari, come quello, per esempio, di riconoscere la tanto desiderata ora di uscita dalla posizione di un raggio di sole che entrava dalla finestra. Può sembrare un banale interessamento ai fenomeni della natura, ma non e cosi semplice. In realtà, l’osservazione e rivolta al raggio di sole che si insinua tra oggetti, quindi non alia sola natura, ma al rapporto che l’uomo ha con essa. Cosi come il fascino prepotente che su di lui esercita il contesto urbano dove vive, e sempre misurato con l’attento interessamento al tranquillo prodigarsi di quei personaggi che ne popolano lo spazio vitale. La sua famiglia, abbiamo gia visto, non vive la miseria atavica di chi lavora la terra, ma nemmeno ha quelle disponibilità che qualificano come “signorotti” i benestanti di provincia. La dignità dei poveri e una grande virtù, sconosciuta ai più, ma costa sacrifici e richiede la collaborazione di tutta la famiglia. Anche per Norberto e il momento di scegliere come collaborare. Poco più che dodicenne lo troviamo a Roma, in Trastevere, dallo zio sarto e certo non e un caso che la scelta sia caduta su di un mestiere di quelli manuali creativi. L’impatto con Roma e di grande interesse per il ragazzo Norberto che anche qui, alle ovvie peregrinazioni turisticoculturali, unisce l’attenta osservazione di quella ricchissima galleria di personaggi che poteva essere allora Trastevere, in quei tempi drammatici intorno al 1940. Per lui, abituato alia metodica tranquillità della sana vita familiare, l’inserimento in questo mondo difficile e stato durissimo.
Basti pensare alia risolutezza, per esempio, con cui bisognava tenere le distanze da certa delinquenza che in Trastevere era di casa. Sembra letteratura e invece sono molti gli episodi drammatici vissuti in prima persona e superati facendo appello a risorse interiori che non pensava neppure di possedere. E se l’impatto con Roma, soprattutto con Trastevere, non si e trasformato da esperienza in trauma, lo si deve soltanto alia sua precoce maturità e al grande equilibrio dimostrato nella valutazione degli episodi. Comunque, gli avvenimenti precipitano e nel 1942 e costretto a tornare nella sua Spello. Questo periodo, a casa, ha per lui un sapore nuovo. E un continuo confronto tra l’esperienza romana e la sua terra, la sua gente, i diversi modi di vivere e di affrontare i problemi. Il bagaglio di accresciute conoscenze gli e utile soprattutto per rivisitare con interessi nuovi gli affreschi di Assisi e della Cappella Baglioni a Spello. E il 1946. Il ritorno alia normalità dopo eventi cosi drammatici e sempre duro, ma va affrontato. Norberto, sempre a fare il sarto e sempre dietro lo zio, va a Bergamo, ed esattamente nella splendida Bergamo Alta, cosi ricca di architettura e di atmosfere tanto diverse da suscitargli emozioni intense e continue. Intanto, gli anni di Roma e di Bergamo sono bastati a far di lui, molto giovane, un bravissimo sarto. Tutti se ne meravigliano, lui no. Ormai, da molto tempo, si rende conto di questa sua straordinaria capacita manuale e della disinvoltura con cui può affrontare e risolvere qualsiasi lavoro. E tutto questo, per Norberto, e motivo, se non proprio di angoscia, almeno di turbamento. Non riesce a stabilire i termini precisi di un rapporto, che pur deve esistere, tra questa facilita di fare e la forza incessante che lo spinge a conoscere, osservare, valutare, confrontare nel loro intimo più profondo uomini e cose. Realizzare il desiderio di aprire un laboratorio proprio si unisce, nel 1950, alia gioia di tornare a Spello. Ma se gli aspetti esteriori del vivere tendono a pianificarsi e ad inserirsi nel quotidiano, la problematica interiore, ora che c’e più tempo da dedicare alia riflessione, si riaffaccia con intensità sempre crescente, accompagnata dalle ansie e dai dubbi di sempre. La confusione rischia di la lasciare il posto all’angoscia, cosi Norberto, che ha ormai capito che comunque ha qualcosa da dover dire, decide, nel 1951, di dipingere un quadro. L’opera suscita l’ammirazione della piccola corte di frequentatori che quotidianamente si agita intorno alia sua bottega. Ma Norberto e profondamente deluso. Quel quadro, e i pochi altri che lo hanno seguito, non hanno dipanato la matassa dei suoi pensieri. Ma la consapevolezza di aver identificato un’esperienza negativa lo convince che in lui sta maturando un processo interno, che lentamente lo porterà ad una visione più chiara del suo io. Tranquillità, ma non immobilismo, perché continua ad occupare il tempo risparmiato al lavoro. Continua a fare qualche quadro e viaggia molto per riempire un vuoto di cultura nozionistica con un non meno importante patrimonio di esperienze personali, fatto di impatti diretti ed interpretazioni proprie, che vanno decisamente oltre la facciata di una, anche se valida, descrizione accademica. Questa parentesi di tempo culmina con una decisione significativa: l’apertura di una bottega in un punto nevralgico di Spello, meta di turisti e curiosi. In questa bottega, anzi all’aperto, nello spazio antistante la bottega stessa, svolge con successo un’altra attività a lui nuova: la scultura. Modella massi di pietra, tavolini di faggio, ma soprattutto vecchi tronchi d’olivo che arricchisce con chiodi neri di quelli che gli artigiani adoperano per ferrare e decorare le porte rustiche. Forse e il primo passo di Norberto nel campo dell’arte; e comunque, certamente, il primo passo verso la “farm”. Le sue sculture, anche se poche, per l’enorme mole di lavoro che serve a realizzarle, vanno ad arricchire le raccolte di collezionisti di ogni parte d’Itala. Sembra assurdo, ma il suo nome si aggiunge ai gia numerosi richiami turistici di Spello. La gente viene per vedere all’opera, dal vivo, questo nuovo bravissimo scultore.
Giungono anche, insieme agli altri, personaggi della cultura e dell’arte. Sono di quegli anni gli incontri affettuosi con Giovannino Guareschi e Ghigo De Chiara, che hanno per lui sempre cortesi parole di stima, di ammirazione e di incoraggiamento. Riconoscimenti a parte, non ultimo quello economico, Norberto trae immensa soddisfazione interiore da questo lavoro il che lo induce ad infittire la riflessione introspettiva per trovarne la ragione vera. Ben presto la identifica nella natura stessa dei materiali che adopera: la pietra, l’ulivo, il chiodo nero, tutti dementi connaturati da atavici legami alle consuetudini quotidiane della sua terra. E dunque, questa sua terra, l’elemento comune tra la sua intima gioia e le sue sculture? E se fosse, perché? Torna cosi prepotentemente all’apice dei suoi pensieri l’ambiente dove vive. Ma non lo vede più con la nostalgia di chi ci e nato. E un rapporto più distaccato, portato avanti sul filo di un’analisi meticolosa e profonda. S’aggira per le vie del paese con andatura indifferente, ma attentissimo ad osservare tutto. Gli oziosi all’osteria, gli artigiani al lavoro, le comari in chiacchiere e una teoria di frati assorti in meditazione che scivolano via silenziosi, girando dietro il vicolo. Si inerpica per viottoli di campagna e si ferma a mezzacosta, tra gli ulivi, a contemplare la pianura, il paese e i colli intorno. Divora tutto con lo sguardo, evitando di ragionare per non contaminare col raziocinio un insieme di emozioni che debbono rimanere immuni da ogni condizionamento. Le immagini si susseguono veloci e, non trattenute, rapidamente scompaiono, non prima pero di aver lasciato nell’animo un segno profondo. La tonaca di S. Francesco. I campi di grano. Le prospettive di Giotto. Le raccoglitrici di olive. La tonaca di S. Francesco. La pietra rosa delle torri. La geometria dei tetti. L’argento degli ulivi. La tonaca di S. Francesco. Il succedersi degli archi. La tonaca di S. Francesco. Se Burri l’ha proposta in tutti i modi, esaltandone la povertà e la consunzione, e tutto il mondo ne e rimasto colpito e affascinato, vuol dire che dentro c’e qualcosa, vuol dire che materializza un’emozione. La sofferenza. E ovvia. La povertà. E scontata. La gioia. E sempre legata all’evento felice. La serenità. E la gioia senza evento. E la gioia sempre. E la gioia con l’ingiustizia. Serenità, e la miseria diventa bella. Non e rassegnazione, e superamento. La serenità. Aristocratica e preziosa.
E di pochi. Ma dov’e? Le torri. I tetti. Gli ulivi. I campi. Gli archi. Il lavoro. La festa. Il gioco. Magazine” del 341966. L’apertura a Spoleto, nel 1967, di una nuova bottegagalleria tutta sua sembra ormai una tappa decisiva e definitiva. I riconoscimenti, ora, hanno matrici molto qualificate e soprattutto assumono carattere internazionale. Per il sofisticato pubblico del Festival dei due mondi la bottega di Norberto e, e lo e ancora oggi, meta d’obbligo. Ma Norberto e ben lontano dal farsi contaminare da questi successi. La sua estrema sensibilità e soprattutto il gusto raffinato che ha nel discernere i fatti estetici, lo pongono in posizione critica di fronte ai suoi stessi quadri. C’e qualcosa che non funziona. Ci sono ancora problemi, anche se si presentano su altri fronti. Il linguaggio con il quale sono espressi i suoi paesaggi e le sue figure non e sufficiente a rendere efficace l’evocazione di certi sentimenti. L’affannosa e sofferta analisi interiore che lo aveva accompagnato per tanti anni si fa ora metodica ricerca estetica, ma non per questo meno energica e meno sentita. E un continuo ossessivo lavorare, cambiando colori, supporti e materiali. L’attenzione costante e la sensibilità accentuata lo inducono a cogliere, prontissimo, il minimo indizio: una tavoletta, sulla quale qualche giorno prima aveva lavorato, impastando i colori con certe sostanze grasse. Il preparato si era essiccato facendo corpo con la tavola stessa e l’amalgama che si era formato assomigliava vagamente ad una pietra, con profonde striature di colore. E bastato uno sguardo per avere un tuffo al cuore. Era la materia giusta per esprimere compiutamente se stesso. Alla Galleria “Vitruvio” di Milano presenta, nel 1969, i suoi nuovi quadri. Il successo e tale che la Galleria stessa gli prenota la produzione futura, per ripetere la mostra nel 1970. Cesare Zavattini, che gia lo insegue da molto tempo, insiste perché si presenti alia rassegna dei naif che da qualche anno la città di Suzzara organizza con grande successo. Norberto, pero, rifiuta.
Sa che l’immediatezza della sua pittura e frutto di tanta ricerca si estetica che contenutistica e non vuole confonderla con fenomeni interessanti soltanto da un punto di vista di costume. Zavattini, pero, continua ad insistere. Sono validissime le ragioni di Norberto, ma e anche vero che la manifestazione di Suzzara, di gran moda al momento e perciò seguitissima, può contribuire a ridurre notevolmente i tempi di un’espansione più capillare della sua immagine. Norberto, anche se contrario, si lascia convincere. La grande qualità della sua pittura si esalta e nel giro di pochi anni ottiene i massimi riconoscimenti possibili nell’ambito di quel tipo di rassegne. Nel 1971, a Suzzara, medaglia d’oro del Presidente della Repubblica. Nel 1972, primo premio “Lucia d’argento” alia rassegna di Varenna, sul lago di Como. Nel 1973, primo premio alia rassegna del circolo “De Amicis” di Milano. Nel 1974, primo premio preferenze del pubblico all’Antoniano di Bologna. Una sala intera a lui dedicata alia Mostra Internazionale del Museo di Palazzo Braschi a Roma. Il premio Riccione per la popolarità. Unanimi i riconoscimenti dei critici. Da Ignazio Mormino alia signora Nereo, da Antonio Amaduzzi a Toni Bona vita, da Franco De Martino a Renzo Margonari, da Nevio Iori a Mario Portalupi, da Agostino Ghilardi a Guerrino Mattei, a Giancarlo Politi e cosi via. Zavattini aveva ragione. L’importante e riuscire a mostrare le proprie opere al pubblico, più numeroso possibile, qualunque sia la matrice della manifestazione, perché la qualità della pittura, quando c’e, emerge sempre, al di la delle definizioni, degli schemi e delle correnti. L’onda di questa popolarità spinge Franco De Martino a segnalarlo ai fratelli Russo della “Barcaccia” di Roma. «… il pittore Norberto, che espone alia Galleria Russo, va ben oltre il confine di queste didascalie. L’avventura neoprimitiva di Norberto le scavalca, ponendosi in un’area esclusivamente personale…». Cosi, parlando delle citazioni naif, Vanni Ronsisvalle si esprimeva il 10 marzo 1974 in una trasmissione televisiva, commentando le immagini della mostra nella Galleria di Piazza di Spagna. Si esaurisce qui, per l’attività di Norberto, il fascino dell’avventura. Inizia una serie di mostre nelle più importanti gallerie d’ltalia. Nel 1978 esce per le Edizioni La Gradiva di Roma una grande monografia a cura di Luciano Luisi.
Si occupano di lui, fra gli altri, per presentazioni, da Nevio Iori a Mario Portalupi, da Agostino Ghilardi a Guerrino Mattei, a Giancarlo Politi e cosi via. Zavattini aveva ragione. L’importante e riuscire a mostrare le proprie opere al pubblico, più numeroso possibile, qualunque sia la matrice della manifestazione, perché la qualità della pittura, quando c’e, emerge sempre, al di la delle definizioni, degli schemi e delle correnti. L’onda di questa popolarità spinge Franco De Martino a segnalarlo ai fratelli Russo della “Barcaccia” di Roma. «… il pittore Norberto, che espone alia Galleria Russo, va ben oltre il confine di queste didascalie. L’avventura neoprimitiva di Norberto le scavalca, ponendosi in un’area esclusivamente personale…». Cosi, parlando delle citazioni naif, Vanni Ronsisvalle si esprimeva il 10 marzo 1974 in una trasmissione televisiva, commentando le immagini della mostra nella Galleria di Piazza di Spagna. Si esaurisce qui, per l’attività di Norberto, il fascino dell’avventura. Inizia una serie di mostre nelle più importanti gallerie d’ltalia. Nel 1978 esce per le Edizioni La Gradiva di Roma una grande monografia a cura di Luciano Luisi. Si occupano di lui, fra gli altri, per presentazioni, articoli, documentari cinematografici e televisivi, Fortunate* Bellonzi, Franco Miele, Renato Civello, Fernaccio Ulivi, Donat Cattin; sempre più frequenti i viaggi all’estero e gli spostamenti in Italia. Nel 1980 Carlo Carretto, affascinato dalla sua pittura, s’incontra con lui e gli chiede di illustrare la sua ultima fatica di scrittore: “Io, Francesco”. Ventiquattro stupende opere vanno a sottolineare gli episodi salienti della vita del Santo di Assisi. Il volume, tradotto in dieci lingue, e divulgato in tutto il mondo. Invitato dalla RAI, insieme a Norberto, ad una popolarissima trasmissione della Domenica pomeriggio per presentare il suo libro, cosi Carlo Carretto si esprimeva:«… mancava un volto, un personaggio che sarebbe stato al tempo stesso figlio e padre di tutta quella realtà e che dava il nome a quell’epoca e a quell’essere nel cuore di Norberto: Francesco…. Alla Gradiva di Roma espone, per la prima volta, opere di grande formato. Cosi, per l’occasione, scrive Fortunato Bellonzi: «… Immagine che suscita l’incredulità della favola, e insieme la nostalgia del bene perduto…». L’originalità dei suoi quadri interessa molto organizzatori e patrocinatori di manifestazioni. Numerosi sono i bozzetti per manifesti commissionatigli per propagandare avvenimenti importanti, e molte banche arredano i saloni delle proprie sedi con sue opere. Nel 1982, durante il periodo delle festività natalizie, l’Associazione Via Frattina organizza una mostra di opere di Norberto nelle vetrine dei negozi stessi. L’elegante volumetto, edito in occasione della manifestazione sponsorizzata dal Monte dei Paschi di Siena, contiene un’interessante presentazione di Antonio Russo. Nel maggio 1984 la RAI chiede a Norberto alcune sue opere da far apparire sui teleschermi, durante la lettura di un racconto, nella trasmissione “Primissima” di Gianni Raviele. Norberto partecipa attivamente alia vita sociale e culturale e le occasioni più importanti lo trovano sempre presente; tuttavia, quando può, preferisce vivere lontano dai grandi centri, nella sua casa in campagna, dove lavora e continua la sua ricerca, sempre accurata e precisa. Dicevamo prima di come i suoi quadri siano di una immediatezza straordinaria e come da essi, senza la mediazione di nessun discorso intellettivo, traspaia per lettura istintiva quell’aspirazione alia serenità che e il grande sogno dell’intimo di Norberto. Questo e dovuto alia scrupolosa introspezione che egli fa precedere alia realizzazione di un’opera. Soltanto quando e sicuro di ciò che sente, da il via alia sua straordinaria manualità. Noi siamo tra i pochi che abbiamo avuto la possibilità di vederlo lavorare. E una esperienza strana, che contraddice certi presupposti delle regole della pittura. Norberto mescola le sostanze grasse e i colori, poi li distende sulla tavola, ripete più volte questa operazione con un dinamismo straordinario, adoperando i mezzi più disparati, dalle spatole agli stracci. Poi si ferma e osserva la tavola. Timidamente, buttiamo l’occhio anche noi: e un susseguirsi di macchie di colore in un’armonia perfetta. Un risutato spettacolare. E lui lo sa, ne e convinto e nel suo intimo l’opera e finita, c’e la sostanza della sua anima. E l’attimo in cui possiamo capire la gioia all’emozione. Ma l’affanno di Norberto e stato sempre quello di partecipare agli altri quell’attimo, cercando di lasciarlo istintuale il più possibile. E cosi, terminato l’intervallo brevissimo, ma deciso, di ammirazione, comincia a vestirlo con un linguaggio simbolico che sia calligrafia il meno possibile, ma che arrivi a segno. Parte dall’alto a sinistra, sempre velocissimo, con pennello e spatola e, senza nessuna traccia di disegno, costruisce le sue strutture prospettiche e i suoi personaggi fantastici. La materia diventa colore, il colore stesso improvvisamente si fa limpida realtà. Il quadro e finite Per renderlo facilmente fruibile, sono state invertite le regole logiche del processo analisisintesi. E se un giorno Norberto si attenesse alia logica fermandosi alle macchie? Ma non si possono conoscere fin d’ora gli effetti della sua costante ricerca. Per il momento egli, chiuso nel suo eremo, continua a lavorare per la gioia di tutti. I suoi personaggi si muovono col gesto ampio e regale di chi e forte e cosciente di assolvere ad una precisa funzione, sentendosi necessario ma non insostituibile, importante ma non eroe, utile ma non indispensable. Per questo, la cronaca lo vuole pittore di estrazione popolare. La storia, invece, lo delinea diretto discendente di quella aristocrazia dell’arte coltivata e maturata nelle medievali botteghe dei grandi maestri umbri e toscani. E dalla sua bottega di Spello, maestro senza allievi, Norberto osserva il mondo, china il capo, raccoglie nella mano i suoi pensieri colorati e canta le gesta dell’uomo sereno.

ROMANO PETRUCCI



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