Critica di Norberto
a cura di Vittorio Sgarbi
La riluttanza di Norberto ad indossare la camicia troppo stretta del naif è del tutto comprensibile e del tutto fondata. Lo dicono non le sue convinzioni, ma le opere che hanno preceduto e seguito quelle più prevedibilmente definibili naif. La pittura di Norberto ha una matrice intrecciata saldamente, anche quando inconsciamente, con la più significativa tradizione primitivistica italiana da Alberto Magri a Massimo Campigli. Basta osservare le sue opere, inspiegabilmente sottovalutate. L’Autoritratto e Nanda (1959) respirano l’aria di Strapaese, mostrando l’affinità con l’opera di Rosai. Poco importa che queste ascendenze derivino da precise conoscenze: sono gli intenti e gli esiti finali a stabilire queste involontarie e neanche troppo singolari parentele. Colpisce particolarmente, in questi dipinti d’esordio, la straordinaria densità della materia pittorica. È una densità tutta “primitiva” che niente ha a che fare con le densità linde e glassate del naif più convenzionale, vicina nelle sua composizione e nel suo effetto a quella dell’intonaco grezzo; una crosta scabra che scompone le luci e le ombre in delicate nuances pulviscolari, offrendosi al tatto non meno che all’occhio… Paradossalmente il Norberto ufficialmente naif è molto meno ingenuo e istintivo del Norberto primitivista. L’artista acquisisce un’inedita sapienza compositiva, imparando a costruire articolati scenari spaziali ai quali aspetta la funzione di contenere e sviluppare la narrazione aneddotica. Si è voluto mettere in relazione questa nuova maturità di Norberto con la conoscenza approfondita dei grandi cicli pittorici ( il Giotto di Assisi, o chi per lui, in primis, ma anche il Simone Martini delle Storie agostiniane) dell’Umbria e della Toscana trecentesca. C’è certamente del vero in queste valutazioni, ma non si trascuri la costante natura novecentesca della maniera di Norberto, ancora una volta riconducibile, sebbene per altri e più remoti versanti, alla fucina primitivistica. Osserviamo le griglie cubistiche evocate da certi dipinti di gusto naif composti su impianti geometrici particolarmente rigorosi. In questo spirito, come è noto, si è espresso anche il Sironi dei primissimi anni Venti.
Bene, guardate un borgo medievale dì Norberto come quelli de I Campioni o di Struttura, guardatene la paratassi compositiva rigidamente geometrica, empirica ma precisa come una scacchiera, e ditemi se non sono la controparte popolareggiante delle celebri periferie urbane dipinte dal Sironi tra il 1920 e il 1922. Qui la magia domestica della vita a dimensione d’uomo, là la desolante atarassia della vita a dimensione di macchina, qui il presente che si ritrova nel passato, là il presente che si perde nel futuro; è però equivalente, fatte le debite distinzioni di peso, la tendenza all’astrazione del dato reale in una figurazione ideale fatta di volumi piatti, di finestre buie e profonde come buchi, di piani netti di luce e di ombra. È davanti a confronti del genere che la classificazione di naif assegnata a Norberto mostra tutta al sua debolezza crifica, non fornendo alcun elemento chiarificatore sulla ricerca formale intrapresa dall’autore. Diceva Apollinare che gli artisti sono uomini prima di tutto desiderosi di essere inumani. La storia artistica del Novecento, storia di rivoluzioni e di titani, gli ha dato indubbiamente ragione; ogni tanto, però, sentiamo il bisogno che gli artisti del nostro tempo tornino ad essere umani come lo è Norberto.
IL COLORE COME PACE
a cura di Michelangelo Antonioni
Prima che un pittore, Norberto è per me un amico. Mi spiego meglio. Una persona verso la quale potrei nutrire amicizia se non ci dividessero troppe cose, prime fra tutte il fatto che io sono, più nolente che volente, un intellettuale e lui no, e poi il fatto che lui vive in un piccolo paese e io in una grande città, il che porta a due diverse mentalità e visioni del mondo. Non so nemmeno se lui ce la farebbe a essere mio amico. Per me l’amicizia è qualcosa di individuale: considero il tale o il tal altro un mio amico, separatamente. Per lui è una rete di persone e una serie di luoghi in cui adagiarsi a vivere. Ma Norberto è, come me, uno che si è fatto da sé. E questo conta,segretamente conta, in un rapporto. Non lo dico per mettere le mani avanti, nel senso che se mi scapperà qualche elogio, è per amicizia che lo faccio. Al contrario, semmai, sarà proprio questo sentimento, pervia della naturale ritrosia che mi porto dietro dalla nascita, dal luogo di nascita che è la pianura padana dove tutti sono ritrosi per eredità storica, direi, a frenarmi. Quando ci siamo conosciuti Norberto ed io? Nessuno di noi due lo ricorda. Mi sembra che dalla prima volta che misi piede a Spello Norberto era là, appoggiato a un muro come in una delle sue foto più pubblicate. Ovviamente io ero “qualcuno” per lui, lui nessuno per me. Ma bastò dare un’occhiata ai suoi quadri per capire che ero io in difetto a non conoscerlo. Lo scatto di notorietà dalla provincia o dalla regione all’intero paese, in Italia è difficile. Lo è per tutti gli artisti. Per un pittore si tratta di esportare non soltanto la propria vena poetica, la propria bravura, ma delle cose concrete come paesaggi, figure tipiche, la materia di determinati muri, le caratteristiche delle case, delle strade, delle piazze, le antiche mura e i torrioni, insomma un certo folclore visivo, retaggio difficilmente evitabile. Per l’umbro Norberto, pietre bianche o rosa, villaggi arrocati sul cocuzzolo di una collina, conventi, eremi, chiese sono un materiale figurativo che, sebbene derivato da quel denominatore comune a tutti gli italiani che è il medioevo, può essere raccolto o respinto per varie ragioni che nulla hanno a che vedere con il giudizio critico. Per fare un esempio, non amo i contenuti surreali in pittura, pur ammirandoli quand’è il caso. Mi attrae invece moltissimo l’astrattismo, anche se in quel mondo a volte riesco ad entrare con fatica. Mi si obietterà che la poesia non conosce confini e il fatto stesso che ci sia in un’opera è un attributo di universalità. Tuttavia mi sembra che l’immagine abbia una forza così diretta, che entri in un modo così perentorio quasi a nostra insaputa nell’occhio, da incollarsi al cervello prima ancora che questo abbia incominciato ad analizzarla. Ed è in questa frazione di secondo che – automaticamente – avviene la scelta, ossia che proviamo piacere oppure no. Ho detto più sopra che Norberto non è un intellettuale. Credo di fargli un complimento affermando questo. Norberto è un pittore d’istinto, la sua biografia ci informa che scoprì la sua vena finendo un quadro già iniziato. Dirò di più, Norberto è uno specialista del candore, della serenità del vivere. Dipinge agglomerati di case fermi nel tempo che ricordano certe illustrazioni di incunaboli cinquecenteschi, campi coltivati con grande cura, con amore si direbbe, scene di vita paesana, scioperi ordinati e frati, tanti fratini che lavorano o giocano con la tonaca bianca al vento. Straripa insomma dalla sua pittura un sapore di esistenza pacata, per non dire soddisfatta. Uno dei suoi ultimi dipinti è un’ode alla pace. Norberto stesso ha tutta l’aria di un uomo soddisfatto. Non che la sua vita sia immune da problemi, ma ho idea che li superi con una certa scioltezza. Lo si vede spesso fare lunghe passeggiate nei boschi a raccogliere erbe o funghi che poi cucina da sé. Durante queste passeggiate so che ama soffermarsi a guardare le luci e ascoltare i rumori del bosco, assaporare a fondo quei momenti di solitudine, contrappunto necessario alla sua vita familiare e sociale. Ecco una delle qualità che più apprezzo in lui: saper ascoltare, non soltanto la natura ma anche chi gli parla. Ascoltare gli piace, come gli piace la chiacchiera distensiva. Quasi tutte le sere incontra amici con i quali si intrattiene per gusto della socialità: ridere, giocare a carte, a biliardo, discutere di sport. Perugia è a due passi da Spello e quando la squadra di calcio del Perugia era in serie A, tutti allo stadio. Insomma quel tipo di vita paesana, o al più provinciale, in cui noi cittadini incalliti tentiamo ripetutamente di affondare e da cui inevitabilmente dopo ogni week-end fuggiamo. Norberto non deve fuggire da nulla. Sta bene dov’è. Qualche viaggio per seguire le sue mostre o per curiosità, sempre in compagnia di amici; ma io credo che i suoi viaggi ad altro non tendano che al ritorno. Che tipo di pittura può essere quella di un uomo così soddisfatto? Naif, si è soliti dire. E qui si apre un discorso che porterebbe lontano, se chi scrivesse fosse un critico d’arte. Non lo sono e pertanto le mie considerazioni vanno prese con il beneficio d’inventario. Una osservazione di carattere generale, prima di tutto: dato (e non concesso) che la pittura naive sia una sottospecie di pittura, possiamo allora assumerla come la forma più libera e più autentica dell’espressione pittorica, la meno soggetta a condizionamenti educativi o culturali. Difatti, da dove vengono questi pittori naif? Sono quasi tutti di estrazione popolare, Norberto compreso, dunque la loro è un pittura popolare, sia come ispirazione sia come forza e raggio di comunicazione. Ma il caso di Norberto è diverso. suoi primi dipinti non appartengono a questo genere, sono quadri, semmai, più vicini all’impressionismo e sono, almeno quelli che io ho visto, di ottima fattura. In un certo senso, Norberto ha percorso il cammino inverso: dal figurativo ortodosso è giunto alla sua pienezza espressiva, semplificando ispirazione e segno, fino ad assumere quelli che si è soliti definire naif. A Norberto però (per confessione sua) tale qualifica comincia a stare stretta, e in effetti nella sua produzione recente si possono cogliere dei tentativi di uniformarsi a temi che si inseriscono nel corso generale della evoluzione artistica contemporanea. Si guardi il dipinto citato prima, che è un maggio alla pace: non soltanto l’aspetto tematico colpisce, ma anche certi dettagli. 1 sono alla base del quadro quattro animali, un leone, una tigre, un lupo e un agnello. Sono dipinti in uno stile minuzioso, come lo è (la citazione è paradossale ma ha un senso) l’iperrealismo. Né si può dire che ciò sia dovuto a calcolo, a interessi extra artistici. Norberto è un pittore d’istinto, ho detto a un certo punto di questa nota, intendendo che il dipingere per lui è frutto di un processo psichico inconscio, quel processo che invece in tanti altri pittori è speculazione intellettiva. E’ un pittore che dipinge e compone i suoi quadri istintivamente, tant’è vero che non fa prove né disegni. Mette i colori direttamente sulla tavola, pronto a cogliere il caso o l’illuminazione improvvisa, ed è questo che dà alla sua pittura una sincerità assoluta. Norberto è un uomo toccato dall’aspetto della terra dove è nato. La sua poetica di pittore non è altro che la ricerca di un accordo tra l’uomo, le orme dell’uomo fattosi storia e il mondo della natura.